21 Lug 21/7 La veste di attività non commerciale risiede nello statuto dell’Asd
In caso di associazioni sportive dilettantistiche non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti e sempre che si conformino alle clausole contenute nello statuto e nell’atto costitutivo. L’esenzione d’imposta dipende comunque non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sul contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al Coni.
La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 10979 del 9 giugno 2020, ha chiarito quali sono i presupposti e requisiti in presenza dei quali le attività svolte da un’associazione sportiva dilettantistica possono considerarsi effettivamente non commerciali.
Nel caso preso in esame l’Agenzia delle entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica, ritenendo che non avesse i requisiti per fruire del regime agevolato di tassazione di cui alla legge 398/1991, e considerandola quindi come “evasore totale” per avere omesso la presentazione delle dichiarazioni dei redditi ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.
La Commissione tributaria regionale, confermava la sentenza di primo grado, che aveva accolto parzialmente il ricorso, riconoscendo la sussistenza del diritto ai benefici di cui alla legge 398/1991, ritenendo che fosse stato dimostrato che la società aveva effettivamente svolto la propria attività nel settore dilettantistico, partecipando al campionato di eccellenza organizzato dalla Figc, Lega dilettanti.
Avverso tale sentenza l’Agenzia proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che l’associazione sportiva, per poter usufruire delle agevolazioni fiscali, avrebbe dovuto predisporre atto costitutivo e statuto, contenenti denominazione, oggetto sociale, assenza di fini di lucro ed enunciazione del principio di democraticità interna.
La mancanza di atto costitutivo e statuto impediva dunque di fruire delle agevolazioni fiscali, con conseguente tassazione in misura ordinaria, laddove dagli incassi del bar sito all’interno dello stadio comunale e dai prospetti riepilogativi dei titoli di ingresso emergevano elementi positivi di reddito non dichiarati per più di 200.000 euro.
L’Amministrazione finanziaria evidenziava inoltre che l’associazione non aveva neppure comunicato l’opzione di cui all’articolo 1 della legge 389/1991 all’ufficio Iva e rilevava come fosse del tutto irrilevante la circostanza della effettiva partecipazione al campionato di calcio, non sussistendo alcuna relazione tra l’attività sportiva effettivamente svolta e l’applicazione del regime fiscale agevolato, che costituisce una mera facoltà.
Secondo la suprema Corte la censura era fondata.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l’articolo 111, comma 3, del Tuir, all’epoca vigente (ora articolo 148), disponeva che “per le associazioni … sportive dilettantistiche … non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti…”, laddove poi, il comma 4-quinquies della medesima disposizione prevedeva che “le disposizioni di cui ai commi 3, 4-bis … si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei rispettivi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata …”.
Inoltre, rileva ancora la Cassazione, il comma 18 dell’articolo 90 della legge 289/2002 prevedeva che con uno o più regolamenti fossero individuati i contenuti dello statuto e dell’atto costitutivo delle associazioni sportive dilettantistiche, con particolare riferimento a:
- assenza di fini di lucro
- rispetto del principio di democrazia interna
- organizzazione di attività sportive dilettantistiche
- disciplina del divieto per gli amministratori di ricoprire cariche sociali in altre società
- gratuità degli incarichi degli amministratori
- devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento
- obbligo di conformarsi alle norme ed alle direttive del Coni.
Pertanto, conclude la suprema Corte, per fruire del regime agevolativo, gli statuti e gli atti costitutivi delle associazioni sportive dilettantistiche devono essere integrati con le clausole statutarie sopra indicate, laddove, invece, nella fattispecie in esame, per l’anno in contestazione, l’associazione non aveva predisposto né lo statuto né l’atto costitutivo.
La Cassazione rileva del resto come l’esenzione d’imposta, prevista dall’articolo 148 del Tuir in favore delle associazioni non lucrative (tra cui anche le associazioni sportive dilettantistiche), dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sul contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al Coni (cfr Cassazione n. 16449/2016), essendo invece rilevante che le associazioni interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono (naturalmente) essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto (cfr Cassazione nn. 31229/2018, 10393/2018, 4315/2015 e 4872/2015).
E tra l’altro, sottolineano ancora i giudici, l’attività di gestione di un bar-ristoro da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come “non commerciale”, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e di quella sui redditi solo se strumentale rispetto ai fini istituzionali dell’ente e solo se svolta esclusivamente in favore degli associati (cfr Cassazione n. 15474/2018).
Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali giova evidenziare che la stessa Cassazione, con l’ordinanza n. 3746 del 14 febbraio 2020, aveva già affermato che, ai fini della qualifica di ente non commerciale, rileva l’esercizio, in via prevalente, di attività rese in conformità ai fini statutari, non rientranti nelle fattispecie di cui all’articolo 2195 cc e svolte in mancanza di specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di diretta imputazione, con la conseguenza che, in assenza di tali presupposti, va disconosciuto il regime di favore previsto dall’articolo 143 del Tuir, per carenza, appunto, dei requisiti di “decommercializzazione”.
Le associazioni sportive, pertanto, devono comunque porre in essere una serie di adempimenti documentali, da cui si possa dedurre la natura “dilettantistica” e le modalità di esercizio dell’attività, laddove, nell’ambito dell’attività di controllo, può essere richiesta e acquisita tutta la documentazione contabile ed extracontabile sulla base della quale escludere o meno la natura non lucrativa dell’ente.
Trattandosi di agevolazioni fiscali, è evidente, del resto, che sulle stesse associazioni pende l’onere della prova. E, in assenza di tale prova, per il conseguimento del regime agevolativo, come visto, non sarà sufficiente (pur essendo comunque elemento necessario) la mera affiliazione a federazioni sportive nazionali, o l’iscrizione nei registri del Coni.
E questo in particolare laddove sia stata rilevata una serie di indizi, gravi, precisi e concordanti, circa la reale natura dell’ente e dell’attività dallo stesso esercitata (cfr Cassazione n. 2152/2020).
L’attenzione dei controlli si concentrerà quindi, in questi casi, sull’esercizio dell’attività complessivamente svolta dall’ente, valutando l’ufficio se, per la loro natura e per le modalità di esercizio, le attività svolte siano tali da distorcere le finalità istituzionali per le quali l’ente stesso si è, almeno da un punto di vista formale, costituito.
In conclusione, anche laddove le stesse associazioni abbiano ottenuto il riconoscimento del Coni, comunque, il giudice tributario può appurare che tale veste formale non trova piena corrispondenza nell’attività esercitata, nascondendo una natura prettamente commerciale (cfr Cassazione n. 9614/2019).
Fonte: FiscoOggi