02 Mar Sabbia radioattiva sulla Francia: residui della stagione nucleare tornano indietro
Non sempre abbiamo la lungimiranza di capire quando e come dovremo rispondere delle nostre azioni, talvolta possono passare anche cinquanta anni. Ma i danni accumulati potrebbero essere ingenti e irreversibili.
Lo scorso 6 febbraio gran parte della Francia è stata colpita da un fenomeno meteorologico sempre meno insolito, che ha portato dal Sahara venti carichi di sabbia e particolato fine.
Nel massiccio del Giura la neve, che al mattino era bianchissima, è poi diventata arancione. Alla fine della giornata, tutte le superfici all’aperto erano state ricoperte venivano ricoperte da un sottile strato di polvere arancione.
L’ACRO (Association pour le Contrôle de la Radioactivité dans l’Ouest) ha prelevato campioni dall’intera superficie di un’auto ricoperta da questa patina e li ha analizzati nel suo laboratorio al controllo della radioattività artificiale mediante spettrometria gamma (su un rilevatore GeHP).
I ricercatori francesi hanno identificato la presenza di Cesio 137 e sottolineano che «Si tratta di un radioelemento artificiale che quindi non è naturalmente presente nella sabbia e che è un prodotto derivante dalla fissione nucleare che entra in gioco durante un’esplosione nucleare».
«L’episodio del 6 febbraio costituisce certamente un inquinamento molto basso – si legge nel documento dell’ ACRO – ma che si va ad aggiungere ai depositi precedenti (test nucleari degli anni ’60 e di Chernobyl). Questo inquinamento radioattivo – ancora osservabile a lunghe distanze 60 anni dopo il test nucleare – ci ricorda la situazione di contaminazione radioattiva perenne nel Sahara di cui la Francia è responsabile».
La polvere rossa radioattiva che soffia dal Sahara sta presentando il conto di una politica nucleare sconsiderata e a volte genocida che ha avvelenato il deserto. Ma non solo, forse anche l’Italia.
Tra il 1960 e il 1966, la Francia ha condotto ben 17 test nucleari nel Sahara algerino e che solo del primo – quello del 13 febbraio del 1960 chiamato Gerboise Bleue – sappiamo ora con certezza che la nube radioattiva – il cosiddetto fallout – arrivò, dopo tredici giorni, anche in Sicilia, contaminando tutta la Sicilia Occidentale: lo ha ricordato tre anni fa lasicilia.it commentando la desecretazione di documenti relativi all’argomento da parte del governo francese nel 2018.
Nulla di più probabile che anche lo scorso 6 febbraio per la casualità e la capricciosità dei venti una parte della sabbia radioattiva volata dall’Africa verso l’Europa sia caduta sul suolo italiano, come successo in Sicilia.